Immaginazione

Immagina un tavolo tondo e intorno otto donne bendate. Immagina che abbiano scelto di fare questo gioco: una volta bendate cambiano di posto in modo casuale e poi tentano di riconoscersi allungando le mani in giro per il tavolo e toccando le mani delle altre, senza che dalle loro bocche esca né una parola né un suono. Il gioco dura 5 minuti, poi si levano la benda dagli occhi e condividono ciò che hanno provato.
Cosa ne pensi? Che emozioni senti mentre lo immagini? Ti sembra divertente? Imbarazzante? Stimolante? Avvincente?
Immagina ora che il gioco, invece di 8 donne coinvolga 8 uomini... Ecco, appunto. Ovviamente non so cosa ogni lettrice o lettore di questo post possa aver provato, ma quello che ho provato io mi ha detto molto dell'esistenza di un limite, una barriera, una gabbia o una miseria, come direbbe Stefano Ciccone, che sta solido, inamovibile e perpetuo fra gli uomini e il loro corpo, anche nelle menti delle donne.
Quando ascolto brani come questo o leggo cose come il testo della Ginzburg che riporto a chiusura di questo post, sento qualcosa che stona nelle mie orecchie; siamo davvero sicure che questa sensibilità, l'intuito, la capacità di ascolto di istanze anche irrazionali, sia una prerogativa "naturalmente" femminile e che non sia invece che questo fondamentale elemento di contatto con il proprio essere fisico viene negato agli uomini perché chi li guarda, donne comprese, possa considerarli veri uomini?
"Una lettura dei rapporti tra i sessi che faccia riferimento ad archetipi maschili e femminili rischia, dunque, di rappresentare il conflitto che li caratterizza come distruttivo perché immodificabile e al tempo stesso come solo apparente, perché perpetua un'oscillazione eterna e statica tra due principi che non sono nella disponibilità degli individui e delle loro relazioni ma che li determinano ineluttabilmente" (Stefano Ciccone, Essere Maschi, 2009).

Felice chi è diverso
essendo egli diverso
ma guai a chi è diverso
essendo egli uguale.

Sandro Penna, Appunti 1938-49 in Poesie 1991

Se nei secoli le donne sono state schiacciate, e lo sono ancora per molti versi, dalla "contesa per il potere riproduttivo" (come la chiama Lea Melandri in Le passioni del corpo del 2001 non ultima di una lunga fila di autori e autrici che si sono misurat* su questo tema rintracciabili nell'ottima bibliografia del solito libro di Stefano Ciccone), sfociata nell'imposizione della genealogia maschile e del dominio sui corpi e sui destini delle donne, contesa che continua nell'impatto simbolico delle tecnologie riproduttive, il rischio è che dalla liberazione e dalla consapevolezza si passi all'isolamento, a una negazione delle potenzialità di relazione e di liberazione insite in ogni persona indipendentemente dal corpo che si ritrova.
Lo stesso impegno che merita, credo, la lotta per le pari opportunità di donne e uomini nella politica, nel lavoro e nelle scelte di procreazione va dedicato alla liberazione del corpo maschile, delle sue emozioni, in un percorso di relazione che non abbia bisogno di miti o modelli di virilità o femminilità archetipici, ma di ascolto e condivisione e una uguaglianza sentita come valore fondante.
E ora, ritorniamo ad organizzare la festa di benvenuto per le nostre femmine, ma anche per i nostri maschi.

«Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne. Le donne spesso si vergognano di avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con grandi cappelli e bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante; ma a me non è mai successo di incontrare una donna senza scoprire dopo un poco in lei qualcosa di dolente e pietoso che non c’è negli uomini, un continuo pericolo di cascare in un gran pozzo oscuro, qualcosa che proviene proprio dal temperamento femminile e forse da una secolare tradizione di soggezione e schiavitù che non sarà tanto facile vincere».
Natalia Ginzburg, “Discorso sulle donne”, 1993.

Commenti

Post più popolari